Cosa significa morire di stenti

La grande fame d’Irlanda

Non sarò così incauto da descrivere i testi brevi, le nouvelles di Beckett che stiamo discutendo qui (un’eccellente edizione di Caonex Sanz, che è molto attuale, perché le nuove generazioni dovrebbero sapere cosa è buono) come un mero mucchio di macerie di parole morte, per quanto pertinente possa sembrare una tale definizione: “Nulla è cominciato, non c’è mai stato nulla, ma mai e nulla, è una vera fortuna, nulla mai, ma parole morte”. E mi sembra anche pertinente rispettare quella voce che chiude il libro di Watt avvertendo coloro che potrebbero essere tentati di interpretarlo: “Che nessuno cerchi simboli dove non ce ne sono”.

È un avvertimento che potrebbe essere stato scritto da Franz Kafka, che si dice giustamente essere il fratello maggiore di Beckett. Non così fortunata è la convinzione che James Joyce fosse suo padre. Condivido con Jenaro Talens l’impressione che non c’è niente di più lontano da Joyce che Beckett: “Tra l’uno e l’altro c’è un abisso tra il cercare di far dire tutto alle parole e mostrare che le parole non possono dire niente, se non la loro impossibilità di dirlo”. E il fatto è che, come diceva Beckett, anche le parole ci lasciano, e questo dice tutto.